In uno scenario in continua evoluzione – in cui a cambiare è in primo luogo la domanda di salute e il bisogno di cura che arriva dalla popolazione -, come dovrà evolvere l’offerta sul territorio e come deve cambiare l’odontoiatra per essere al passo? A quale modello imprenditoriale o professionale occorre guardare?
Sono questi alcuni interrogativi a cui si è cercato di rispondere nel corso dell’evento dal titolo “Odontoiatria 4.0. Meno titolare e più dentista?”, organizzato da Edra a Milano al Palazzo delle Stelline lo scorso 28 ottobre, che, anche attraverso due indagini – una rivolta agli studenti e una agli odontoiatri – ha provato a tracciare un quadro della professione per capire in che maniera esercitano i dentisti, ma anche le aspirazioni e le scelte dei più giovani. A emergere dalla riflessione è soprattutto un concetto: al di là della forma in cui viene esercitata – come collaboratore o come titolare di studio – la professione è unica e sempre più deve mettere al centro il paziente, con il suo bisogno di salute, che è in continuo mutamento.
Tanti sono i fenomeni che hanno colpito e continueranno a interessare lo scenario e in particolare, come sottolineato da Roberto Rosso, presidente Key-Stone, “dal 2007 a oggi, si registra negli studi un forte aumento nel numero dei pazienti (+2 milioni di unità) e una crescita del 110% dei trattamenti. A fronte di questi dati, c’è, al contempo, una contrazione di un miliardo di euro della spesa odontoiatrica: a diminuire in modo evidente è la spesa media per paziente, che passa da 444 a 386 euro (-13%) e per il 2018vedrà un ulteriore calo del 5% circa”.
Tra le ragioni c’è “da parte dei pazienti un maggior orientamento alla prevenzione. Fenomeno, questo, che, da un lato, determina un aumento negli accessi agli studi per prestazioni a più basso costo e, dall’altro, riduce la necessità di riabilitazioni estese, aumentando il peso di prestazioni mininvasive”. Mentre, al contempo, si segnala un “aumento dei saldi demografici per fenomeni migratori che tende a spostare la domanda relativa a prestazioni primarie (carie ed edentulie) su una fascia di popolazione a più basso potere di spesa, con una polarizzazione della domanda”.
In questo quadro, vanno collocate le evoluzioni che riguardano l’offerta odontoiatrica: “Da un lato, guardando all’odontoiatria organizzata, dopo il rallentamento del 2018”, Rosso prevede un nuovo “forte incremento nello sviluppo del business per il 2019, stimando un valore di mercato di quasi 770milioni di euro. Mentre, sul fronte degli studi tradizionali, il trend, a partire dal 2017-2018, ha iniziato a essere negativo”. Un dato, tuttavia, che va analizzato in affiancamento a quello sull’età: “Il livello medio di anzianità dei dentisti è piuttosto alto: oltre 13 mila dentisti (il 21% degli iscritti) hanno tra i 60 e i 64 anni, in confronto ai soli 3.600 iscritti under30. Ipotizzando in 67-69 anni l’età in cui i dentisti potrebbero abbandonare il lavoro, nei prossimi 10-12 anni ci potrebbero essere quasi 30 mila dentisti in meno – poco sotto il 50% degli iscritti all’Albo – a fronte di circa 1300 entrate ogni anno. Lo scenario futuro potrebbe, quindi, vedere una situazione in cui il potere contrattuale tende ad aumentare. E sul fronte degli studi, ci si aspetta un aumento della complessità strutturale. La necessità di una gestione di tipo imprenditoriale è, già oggi, un dato di fatto, soprattutto perché, alla luce di come sta evolvendo la domanda di cure odontoiatriche, serve sempre più raggiungere una massa critica”.
La fotografia del futuro della professione odontoiatrica dal punto di vista del suo esercizio è stata affidata a due indagini differenti. La prima realizzata da Key-Stone in collaborazione con il Collegio dei Docenti su di un campione rappresentativo di studenti, la seconda realizzata da Edra attraverso un’indagine via web su di campione rappresentativo della professione. Dati interessanti che per alcuni versi hanno confermato convinzioni radicate, come la difficoltà dei futuri odontoiatri di aprire un proprio studio, mentre altri hanno indicato come lo studio non sia più lo sbocco principale dell’odontoiatra, i titolari “puri” di studio sono il 44% dei professionisti inattività.
L’odontoiatra deve essere, allora, in prospettiva, più imprenditore e manager?
“Per prima cosa”, ha detto nel suo intervento Aurelio Gisco, Professore presso AC Vita e Salute San Raffaele e Columbia Business School di New York, “l’odontoiatra deve saper fare il suo lavoro, la professione per la quale ha studiato, senza dimenticare che si tratta pur sempre di impresa. Oggi, tra gli studi c’è una iper-competizione e, in questo quadro, sono necessari alcuni cambiamenti fondamentali. In primo luogo, nella relazione con il cliente-paziente: occorre, infatti, capire quali sono i mercati emergenti, vale a dire le nuove richieste dei pazienti, che vanno nella direzione, soprattutto, del wellness e del wellbeing. Ecco, allora, che dobbiamo diventare sempre più partner dei nostri clienti, con un ruolo consulenziale a tutto tondo”.
Per essere al passo con il paziente però “occorre investire e sviluppare digitalizzazione e informatizzazione dello studio. Le nuove tecnologie, con strumenti come il Crm, ci permettono di raccogliere e analizzare dati sui pazienti e sul funzionamento dello studio, ci danno indicazioni su come strutturare al meglio la giornata lavorativa e ci permettono di rimodulare l’offerta verso una maggiore ottimizzazione e una migliore risposta al paziente”.
E proprio il paziente, ha aggiunto Raffaele Iandolo, presidente della Commissione Albo Odontoiatri, intervenendo nella tavola rotonda, nella quale sono state commentate le due ricerche, “è e deve essere al centro della riflessione. La professione, qualunque sia la modalità in cui viene esercitata, non deve mai perdere di vista il faro dell’etica e l’odontoiatra deve compiere uno sforzo per essere sempre aggiornato e preparato”.
In questa direzione, sul fronte dell’Università e degli studenti, dal prof. Roberto Di Lenarda, rettore all’Università di Trieste e presidente del Collegio dei Docenti, è stata sottolineata “l’elevata qualità nella preparazione dei neolaureati”, anche se va detto che “in odontoiatria, come in medicina, il 50% delle informazioni, dopo 3-4 anni, è superato. Per questo, il primo messaggio che l’università cerca di passare ai giovani è che bisogna studiare, conoscere e soprattutto continuare ad aggiornarsi”. Prof. Di Lenarda che sottolinea come ci sia, però, “un dato che colpisce all’interno della ricerca relativa alle ‘Scelte dei futuri odontoiatri’: la quantità di ragazzi che vede nella collaborazione con una catena una opportunità per fare esperienza. Un segnale su cui l’Università dovrebbe avviare una riflessione, perché significa che i giovani sono spinti a usare l’attività libero-professionale per compiere quella esperienza pratica che non hanno fatto durante il percorso universitario”.
“Formazione e preparazione sul campo” ha detto Fausto Fiorile, presidente AIO, “sono imprescindibili, come lo è impegnarsi in difesa di un modello di studio, come quello tradizionale radicato sul territorio, che è riuscito a garantire una risposta capillare al bisogno di cure dentali della popolazione. Certamente, come ogni modello, è migliorabile, e proprio per questo ai giovani – e ai meno giovani – pensiamo di dare il massimo sostegno perché acquisiscano capacità imprenditoriali e gestionali, così da essere adeguati ai tempi».
Quanto all’evoluzione dell’odontoiatria, ha aggiunto Corrado Bondi, segretario sindacale ANDI, “i cambiamenti sono tanti e rapidi, ma a indicare quale sarà la professione del futuro saranno in primo luogo le stesse esigenze del paziente”. Un tema importante, però, ha continuato è “quello del ricambio generazionale: se, da un lato, i giovani hanno la necessità di entrare nella professione, dall’altra parte, abbiamo dentisti che, in maniera speculare, sono alla ricerca del miglior modo per uscire. La esigenza, allora, è quella di mettere a fuoco e favorire un patto generazionale efficace”.
D’altra parte, ha aggiunto Massimo Depedri, fondatore di Aula 41 e consulente esperto di controllo di gestione aziendale, “i costi di apertura e gestione di uno studio, in particolare quelli fissi, sono notevoli. In questo, le aggregazioni possono aiutare, tanto nella condivisione delle spese, quanto nella possibilità di una differenziazione della specializzazione. Il passaggio generazionale è un momento delicato, per il quale a ogni modo esistono strumenti, ma va detto che anche la preparazione universitaria ha un ruolo importante: quello che manca è una cultura imprenditoriale generale, che faccia capire che cosa significa nel concreto essere imprenditore”.
Nella tavola rotonda è intervenuto anche Samuele Baruch, direttore medico scientifico di Dental Pro e co-fondatore, che, dopo aver presentato una ricerca condotta tra i collaboratori del gruppo, ha sottolineato che “in questo senso una catena può rappresentare una risposta, perché ha una struttura che si occupa di tutta la parte di lavoro che non è clinica, lasciando al dentista la possibilità di dedicarsi solo ai pazienti”.