L’importanza della sperimentazione clinica in Italia

Nasce un intergruppo parlamentare a sostegno della ricerca in Italia. A guidarlo, l’Onorevole Beatrice Lorenzin, deputata e artefice della legge 3/2018 sulle sperimentazioni cliniche, legge che semplifica i passaggi delle sperimentazioni nei comitati etici, individua i requisiti dei centri autorizzati ai trial clinici, e le figure professionali atte a gestirli. In realtà a tre anni dal decreto, complici i cambi di governo, poco è stato applicato. Ma ora che la cronaca del Covid19 rivela quanto si avvantaggi il paese che produce vaccini e farmaci, e che il Recovery Plan per rilanciare l’Italia, sostenuto da prestiti europei, chiede di investire in settori ad alta resa, urge ripartire. Nulla frutta più degli investimenti in ricerca, come emerge nel seminario “L’importanza della sperimentazione clinica in Italia” tenutosi lo scorso 25 febbraio organizzato dalla Fondazione The Bridge e dal nuovo Intergruppo parlamentare, in collaborazione con Edra e il Centro Studi Americani: ogni mille euro investiti dalle industrie farmaceutiche, il Servizio sanitario nazionale può risparmiare 2.200 euro per il minore uso di farmaci, con un vantaggio complessivo di oltre 700 milioni di euro l’anno.

Nell’incontro la Fondazione The Bridge guidata da Rosaria Iardino chiede di ripartire dai decreti attuativi mancanti per l’entrata in vigore del Regolamento europeo 536/2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e di prevedere risorse finalizzate alla sua implementazione.

«In Italia per permettere di fare ricerca abbiamo dovuto derogare in questi mesi alle norme esistenti, c’è voluta una pandemia per velocizzare l’autorizzazione dei vaccini», dice Lorenzin. Che, per avviare un cambio di passo, ha condiviso con l’intergruppo un ordine del giorno che impegna il governo in materia. «Non sono temi di grande presa mediatica – ammette l’ex Ministro- e oltre che informare serve prioritizzarne alcuni più stringenti».

I 700 milioni “cubati” dalla ricerca italiana costituiscono il 22% della ricerca clinica che si svolge nell’Unione europea, come spiega Maurizio De Cicco, presidente e AD Roche. Con il centro studi Altems dell’Università Cattolica, Farmindustria ha avviato una ricerca per valutare quali vantaggi economici, disciplina per disciplina, dà la ricerca in un paese che le destina l’1,4% del prodotto interno lordo, contro una media Ue ed Ocse di oltre il 2% e il quasi 5% di Israele.

La lamentela più diffusa è che manca una regia centrale che semplifichi i passaggi burocratici. Giuliano Rizzardini, Direttore Uo Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano sottolinea come l’Agenzia del Farmaco abbia fatto sforzi importanti in tempi di Covid: al 28 maggio 2020 i trial già erano 1087 su 300 processi terapeutici con bacini medi di 100 pazienti; al 10 febbraio 2021 sono monitorati in Aifa 61 processi, ma i numeri sono ancora piccoli. A complicare le cose c’è la frammentazione dei centri di ricerca e dei comitati etici che causa ritardi.

Già a seguito della legge Balduzzi 189/2012 l’Italia varò una riforma che ha portato a 89 i comitati attuali; ancora tanti – specie se si pensa che per il Covid ne abbiamo utilizzato uno solo – e diversamente produttivi tra loro. La frammentazione crea problemi innanzitutto burocratici. «Chi sperimenta deve pagare la partecipazione di ogni comitato etico locale coinvolto, laddove ad esempio in Francia sopperisce un finanziamento statale», spiega Carlo Petrini, Direttore dell’Unità di Bioetica, Presidente del Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità. «Per il futuro possiamo ridurre il numero di comitati oppure destinarne una metà alle sperimentazioni cliniche ex regolamento UE 536, ed un’altra metà per fare altro. Del resto, i trial costituiscono solo un 23% delle attività che passano dai comitati etici. Il restante 77% sono studi osservazionali, studi compassionevoli, studi su campioni biologici, epidemiologia. Si potrebbe pensare altresì a differenziare i comitati per ambito specialistico, mirandoli sulle reti disciplinari (oncologia, cardiologia, neurologia). A latere c’è un secondo problema, il decreto legislativo 162 del 2019 prevedeva entro il 30 ottobre di quell’anno l’uscita di un decreto che semplificasse gli studi osservazionali e quelli no profit e in quell’occasione le società scientifiche con il nostro Istituto promossero un documento che chiedeva una rete di comitati etici per gli studio sservazionali e un comitato autorizzato a decidere per ogni studio, ma il dibattito non andò avanti.

Figura centrale nei trial clinici sono i Data Managers. Il data manager coordina tutte le altre figure coinvolte nella ricerca, tra industrie, centri, atenei, ospedali. Celeste Cagnazzo Data Manager presidente Gidm ricorda che la figura di data manager non è esplicitamente profilata in Italia, è solo identificata in chi conosce la metodologia dei trial, le norme regolatorie, gli aspetti legali; non in tutti i centri di ricerca c’è un data manager, e servirebbe una normativa di riferimento per pareggiarci agli altri paesi, forme contrattuali solide, una formazione meno eterogenea: oggi l’estrazione è varia, ci sono biologi, farmacisti, alcuni laureati in discipline umanistiche.

«Non c’è sviluppo economico senza sviluppo del capitale umano – ha ricordato l’ex Ministro della Salute Lorenzin in apertura -. In un momento in cui il nostro sistema è messo ‘sotto stress’ capiamo ancora di più l’importanza della scuola. La pandemia ha agito sulla nostra vita più emozionale e in questi mesi abbiamo analizzato come la comunicazione possa interferire sul nostro modo di gestire e contenere la pandemia; questo aspetto riguarda anche i giovani e ne parliamo in un momento di ripartenza, pur se complicata e complessa».

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