Sperimentazioni cliniche a rischio in Italia: Edra presenta il Libro bianco sulla ricerca indipendente

L’Italia esprime indicatori che per quanto riguarda la ricerca appaiono contraddittori. Da sempre i Governi italiani investono percentuali di Prodotto Interno Lordo (PIL) significativamente inferiori rispetto al resto dei Paesi economicamente sviluppati. Oggi siamo a poco più della metà dalla media europea, che è del 2% sul PIL.

Il numero delle sperimentazioni cliniche indipendenti si è così ridotto del 50% negli ultimi 8 anni e, in più, il 95% di spesa è a carico delle aziende private. Questi i numeri allarmanti di un settore che rappresenta un asset strategico per il nostro Paese e ha un valore scientifico, sociale, etico ed economico per i cittadini, per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e per l’intero Sistema. Tuttavia, malgrado siano tenuti a corto di ossigeno, i ricercatori italiani appaiono produttivi e in grado di competere con comunità che hanno accesso a più fondi pubblici e privati: in particolare, pubblicano regolarmente sulle pagine delle più prestigiose riviste i risultati di studi clinici e traslazionali che lasciano il segno nella storia delle terapie tradizionali e avanzate.

Una panoramica sui benefici che la ricerca clinica garantisce al Sistema Salute e un’analisi sulla svolta negativa che potrebbe derivare dal riassetto della normativa in materia di sperimentazione è stata riportata nel Libro Bianco «Il valore della ricerca clinica indipendente in Italia» realizzato dalla Fondazione FADOI (Federazione dei dirigenti ospedalieri internisti) e dalla Fondazione Roche, in collaborazione con SDA Bocconi ed edito da Edra, presentato a Roma presso il Nobile Collegio Chimico Farmaceutico.

A spiegare i motivi della nascita del volume è Gualberto Gussoni, direttore Scientifico FADOI e coordinatore della pubblicazione. «Crediamo nel valore della ricerca indipendente perché la ricerca ha un notevole impatto a livello scientifico, medico, clinico e ha un valore sociale, etico e anche economico per il sistema Paese». È stato realizzato proprio in questo momento storico perché «a livello istituzionale, si stanno decidendo una serie di interventi normativi che saranno critici per il futuro della ricerca indipendente e clinica del nostro Paese».

«Per valorizzare la collaborazione virtuosa tra realtà pubbliche e private, a promuovere il Libro Bianco sono state per l’appunto la Fadoi e la Fondazione Roche. Il Libro Bianco sulla ricerca indipendente è qualcosa che si è reso indispensabile per l’andamento della situazione della ricerca in questo momento». Ad affermarlo è Dario Manfellotto, presidente eletto FADOI, che elenca i nove punti trattati nel testo presentato: «Riduzione degli investimenti e dei finanziamenti pubblici, prevalenza (95%) dei finanziamenti privati, necessità di avere più finanziamenti per la ricerca, organizzarla meglio per renderla efficace e competitiva. Terzo aspetto – continua – è la necessità di rispondere al problema che si è creato con uno dei decreti attuativi della legge Lorenzin (n. 3/2018 ndr.) che hanno messo dei vincoli molto restrittivi nei confronti della possibilità di fare ricerca, creando dei presunti conflitti d’interesse che sicuramente potrebbero bloccare l’attività di ricerca nel nostro Paese e portarla in Europa, dove questi vincoli non ci sono. Infine, la necessità di ampliare il rapporto tra pubblico e privato nella gestione della ricerca clinica. Questo libro – precisa – rappresenta anche uno sprono per il Parlamento per modificare alcune decisione e prenderne altre in modo più orientatore e coerente». Dello stesso parere è anche Sergio Scaccabarozzi, Country Head of Clinical Operations Roche Italia: «L’importanza di questo libro è nella direzione di sensibilizzare il contesto pubblico ma soprattutto i politici dell’importanza della ricerca clinica nel nostro paese sia nella ricerca indipendente ma anche della ricerca clinica finanziata dalle aziende farmaceutiche in quanto rappresenta un grande vantaggio economico per il sistema Paese e anche una fonte di finanziamento per la ricerca indipendente. Siamo in un momento critico perché molti Paesi hanno adottato sistemi, procedure e regolamenti per semplificare e attrarre la ricerca clinica nel loro Paese. In Italia, invece, si era partiti bene con la legge Lorenzin che prevedeva dei decreti attuatiti, ma li stiamo ancora aspettando. Ci auspichiamo che vengano emanati quanto prima con lo spirito di dare un’opportunità ai pazienti, al Paese e rendere l’Italia competitiva e attrattiva per quanto riguarda la ricerca clinica».

Oggi la ricerca di base si sviluppa a un ritmo superiore rispetto a quello della ricerca clinica. Cercare di fornire risposte ai quesiti irrisolti nella clinica si è dimostrato essere molto più produttivo nel rendere attuale l’innovazione. Questo processo consente di ottimizzare l’utilizzo di innovazione scientifica e tecnologica per affrontare reali bisogni clinici. «Ma per fare ricerca clinica realmente innovativa è necessario valorizzare la ricerca traslazionale», afferma Giorgio Racagni, presidente eletto della Società Italiana di Farmacologia. «La ricerca traslazionale è fondamentale -continua – perché a cavallo tra quella di base e quella clinica. Quindi, per avere una ricerca clinica innovativa, bisogna partire da una ricerca di base innovativa. Il farmacologo, in tutta questa filiera dello sviluppo di un farmaco, ha un ruolo fondamentale: nell’ideazione e individuazione di nuovi meccanismi importanti per lo sviluppo di nuovi farmaci e di biomarcatori per test diagnostici e per la ricerca clinica. Sono dell’idea che la ricerca clinica deve essere collaborativa tra ricerca profit e no profit». Racagni parla, poi, di un progetto, che si vorrebbe portare a livello politico,riguardo «al ruolo del farmacologo clinico, medico e non medico, nel Ssn. Se si vuole fare una ricerca o delle terapie innovative – conclude – bisogna partire anche da meccanismi farmacologici innovativi».

Dai dati elaborati dal Cergas-SDA Bocconi, emerge che nel 2016 i finanziamenti per la ricerca clinica sono ammontanti a oltre 788 milioni di euro, di cui il 7,5% erogato dallo Stato, l’89% dalle aziende private e il resto da fondi UE e dai cittadini tramite il 5 per mille. Nel 2017, sul totale di circa 753 milioni, la quota a carico dello Stato (attraverso AIFA e Ministero della Salute) è scesa all’1%,mentre il contributo delle aziende è salito al 95,86%. In media negli ultimi cinque anni (2014-2018) le imprese hanno finanziato il 92% della ricerca clinica mentre il contributo pubblico è stato del 4%. Eppure, il settore della ricerca medica contribuisce in modo significativo all’economia del Paese, con posti di lavoro qualificati, alto livello di conoscenza, miglior benessere della popolazione. «La ricerca clinica indipendente è quella che dà più diretti benefici ai pazienti – spiega Roberto Francesco Labianca, direttore Cancer Center Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamoin quanto utilizza farmaci che possono essere anche innovativi e vengono somministrati in modo più aderente alla realtà clinica rispetto a quello che avviene negli studi registrativi che invece sono risvolti a delle popolazioni di pazienti più selezionati. È un tipo di ricerca che vede i grandi istituti accanto agli ospedali grandi e questo permette di dare beneficio ai pazienti e di incrementare i livello professionale di medici e operatori che si occupano di questi studi».

Carlo Nicora, direttore Generale Irccs Policlinico San Matteo Pavia sostiene: «La ricerca clinica permette ai nostri medici e infermieri di entrare in possesso di nuove modalità di cura utilizzando gli ultimi farmaci e dispositivi e anticipando quella che sarà la nostra capacità di curare la gente in futuro. Questo permette ai nostri ospedali di acquisire un ruolo a livello internazionale e di essere competitivi, la ricerca rappresenta un investimento per il futuro perché non è più pensabile di rimanere al di fuori di logiche che sono europee e internazionali. Ecco perché la componente medica, scientifica e organizzativa delle aziende è attenta in questo».